Negli ultimi mesi ho usato sempre meno i social network. Non ho smesso di frequentarli, sia chiaro: rappresentano ancora una buona fetta – seppure in costante diminuzione – del tempo che trascorro online. No, quello che è cambiato è che posto sempre meno: da gennaio a oggi poco più di una decina di post su Facebook, mentre su Instagram il contatore si è fermato proprio a 10. Soprattutto, ho perso completamente interesse nel condividere.
Più volte, nel corso degli ultimi mesi, sono stato a un passo dal postare qualcosa – magari un commento su un libro letto, su una nuova canzone ascoltata, su un vecchio film recuperato, oppure qualcosa di più personale, una foto di una gita, un aneddoto. Ma ogni volta ci ho rinunciato. Ci ho riflettutto sopra per un bel po’, e alla fine sono arrivato a una conclusione: mi sono stancato dei social, dei contenuti che mi propongono e della deriva che hanno preso. Vedo sempre meno cose che ho scelto di vedere, e più cose che “potrebbero piacermi”. Di conseguenza, in un patetico tentativo di ribellione all’algoritmo, ho smesso quasi del tutto di postare.
We’re all lurkers now afferma una newsletter in cui mi sono imbattuto poche settimane fa (i lurker, nel gergo di internet, sono coloro che partecipano alle chat di gruppo leggendo senza mai intervenire). Si tratta di un pezzo in cui mi rispecchio molto, e che mi ha fatto capire che si tratta di una tendenza generalizzata che va oltre me o la mia cerchia di amici. Soprattutto, è un pezzo che fa parte di una newsletter, che è arrivata alla mia attenzione tramite un’altra newsletter. E qui la storia si fa interessante.
📧L’attacco delle newsletter
In parallelo a questa crescente insoddisfazione verso i social network, è sbocciata la mia passione per le newsletter. Il modo in cui ci sono arrivato è tortuoso, ma in qualche misura racconta bene i miei sentimenti verso l’internet odierno.
Qualche mese fa ero alla ricerca di qualche buon sito di informazione in italiano sui videogiochi. Io non sono un gamer – vorrei esserlo ma non ho tempo – eppure mi piace tenermi aggiornato sul mondo dei videogiochi e sulle sue tendenze, perché li ritengo un pezzo importante della cultura contemporanea (oltre che una fucina di sperimentazioni narrative da tenere sott’occhio). Il panorama dell’informazione videoludica italiana, tuttavia, è piuttosto desolante: i siti di settore sono infarciti di pubblicità, di titoli clickbait e di commenti tossici (un po’ come il 90% di internet). Io invece ero alla ricerca di qualcos’altro: volevo un sito che trattasse i videogiochi come il prodotto culturale che sono. Volevo, per farla breve, un sito che stesse ai videogiochi come L’Ultimo Uomo sta allo sport. Non l’ho trovato, ma sono incappato in un paio di newsletter interessanti sul tema.
(In seguito un sito di videogiochi italiano che si avvicina alla mia idea utopica si è materializzato dal nulla: per chi volesse approfondire, consiglio di dare un’occhiata a Final Round)
La prima newsletter cui mi sono iscritto è Manettini, una delle molte proposte da Il Post, dedicata interamente ai videogiochi. La seconda è Heavy Meta di Lorenzo Fantoni, “una newsletter dove scrivere dello scrivere di cultura pop”. Quest’ultima, in particolare, mi ha aperto il mondo di Substack, una piattaforma per scrivere (e secondariamente leggere) newsletter. Tempo poche settimane e avevo scaricato l’app di Substack e mi ero iscritto a una decina di newsletter diverse, in gran parte incentrate sui temi della cultura digitale. Per quanto Substack abbia progressivamente preso in prestito funzionialità dai social network veri e propri (gli autori possono chattare con i follower, o scrivere note che funzionano di fatto come i thread del vecchio Twitter), l’atmosfera che vi si respira è – almeno per il momento – costruttiva e piacevole.
Tutto questo per dire che, negli ultimi mesi, ho deviato una parte sempre maggiore del tempo che trascorro sullo smartphone verso Substack. Piuttosto che scrollare i social esponendomi a post di valore sempre più scarso, preferisco investire dieci, quindici, talvolta anche venti minuti nella lettura di una singola newsletter, dove qualcuno si è preso la briga di articolare un pensiero in un testo più o meno lungo. Trovo che il mio tempo sia impiegato meglio, e che alla fine ne esco persino arricchito.
🐢Internet a passo lento
C’è qualcosa di affascinante in questo ritorno al passato. Le newsletter sono vecchie quasi quanto internet, sono state più volte date per morte, eppure stanno vivendo una seconda giovinezza: oggi sembra che chiunque conti qualcosa stia aprendo una newsletter – in maniera non dissimile da quanto accaduto pochi anni fa con i podcast. Io stesso – lo ammetto – sono stato tentato di aprirne una: ma la regolarità è un aspetto fondamentale per costruire una newsletter di successo, e io in questo momento non posso garantirla.
Quello che mi piace delle newsletter è che posso leggerle al ritmo che voglio. Manca quella pressione tipica dei social, quell’ansia di consumare tutto subito per paura di essere tagliati fuori. Le newsletter arrivano in un giorno preciso, ma poi le recupero quando ho tempo. È un modo diverso di intendere internet – un modo nuovo, ma allo stesso tempo vecchio – che mi piace chiamare slow web. E allora ben vengano le newsletter, i blog, gli articoli lunghi e dettagliati, le riflessioni articolate, qualsiasi cosa che, in definitiva, richieda al lettore di mettere in moto il cervello e non subire passivamente un flusso di contenuti senza valore scelti da un algoritmo per incatenarci a un’app. Algorithms taking control, cantano i Kasabian in una delle mie canzoni preferite dell’estate 2023 – una canzone che avrei voluto condividere sui social, ma poi non l’ho fatto.
Questo mio intervento non vuole essere un manifesto o una chiamata alle armi contro i social brutti e cattivi. Non sono così ingenuo da pensare che un mondo senza social network sia possibile – questa fase l’ho già passata, più di un decennio fa, quando sono stato l’ultimo a iscriversi a Facebook. Indietro non si torna, nel bene e nel male, e alla stragrande maggioranza delle persone lo slow internet non interessa né interesserà mai. Io stesso continuerò a usare i social per promuovere la mia attività di scrittore (e questo stesso blog), perché se voglio parlare al mio pubblico è lì che lo devo andare a cercare – che mi piaccia o meno.
No, questa riflessione vuole essere soltanto un invito a usare meglio il nostro tempo. Nessuno ci obbliga ad annegare in un ecosistema che, bene che vada, ci propone contenuti inutili – quando non tossici a più livelli. Le alternative esistono, sia sul web che fuori da esso. Tipo: quanti libri leggete in un anno? Ma questa è un’altra storia.
🔖Consigli di lettura
Magari a qualcuno è venuta voglia di esplorare il mondo delle newsletter. Substack è una piattaforma oggettivamente comoda, se non altro perché ha un’app che funziona bene e sembra aver raccolto attorno a sé una community molto attiva. Tra l’altro, le newsletter pubblicate tramite Substack sono accessibili anche via web: utile per farsi un’idea prima di iscriversi.
Chi seguire, allora? Ovviamente tutto dipende dagli interessi personali. Mi permetto però di lasciarvi una breve lista di newsletter che giudico interessanti in ambito cultura digitale – oltre a quelle già citate nell’articolo:
- Link molto belli di Pietro Minto. La madre di tutte le newsletter: ogni settimana una raccolta dei migliori link dal web.
- Insalata mista di Franco Aquini. Una delle mie preferite: tratta di tecnologia, intrattenimento e attualità, con belle riflessioni.
- Insert Coin di Massimiliano Di Marco. Semplicemente la migliore informazioni sui videogiochi al momento disponibile in Italia.
- Giochetti di Stefano Besi. Una sorprendente newsletter sui punti di contatto tra videogiochi e forme d’arte.
- Barili esplosivi di Alessandro Zampini. Come Link molto belli, ma tutta incentrata sui videogiochi.
- Vincos Newsletter di Vincenzo Cosenza. Notizie settimanali all’incrocio tra tecnologia e marketing. Uno dei posti migliori per rimanere aggiornati sulle AI.
Let’s make internet slow again.
Un pensiero riguardo “Slow Web”